L’indice glicemico (IG) è la velocità con cui aumentano i livelli di glucosio nel sangue (definita anche glicemia) a seguito dell’assunzione di carboidrati. Gli alimenti contenenti carboidrati che vengono idrolizzati velocemente, dagli enzimi digestivi nell’intestino, hanno un alto indice glicemico.
Infatti, i carboidrati, sia semplici che complessi, per essere assorbiti e passare nella circolazione sanguigna devono essere trasformati in monosaccaridi dagli enzimi digestivi.
L’indice glicemico è espresso in termini percentuali rispetto alla velocità con cui la glicemia aumenta in seguito all’assunzione di un alimento di riferimento (IG 100), quale il glucosio oppure il pane bianco o il saccarosio.
Come si classificano i carboidrati?
I carboidrati si classificano a seconda del numero di molecole di zucchero da cui sono composti. I carboidrati semplici sono composti da 1 o 2 molecole di zucchero e sono: glucosio, fruttosio, galattosio, saccarosio, maltosio e lattosio.
I carboidrati complessi sono costituiti da catene di almeno 100 molecole di zucchero e possono essere digeribili (amidi) o non digeribili (fibre).
Esistono anche carboidrati complessi, a basso peso molecolare, composti da poche decine di molecole di zucchero, come ad esempio gli sciroppi di glucosio, le maltodestrine ecc…
Tale suddivisione chimica, non corrisponde a un’equivalenza nell’indice glicemico. La maggior parte dei carboidrati semplici hanno un indice glicemico pari a 100 (escluso il fruttosio), anche alcuni zuccheri complessi hanno lo stesso indice glicemico: come gli amidi del riso, del pane bianco.
Carboidrati semplici e carboidrati complessi non corrispondono matematicamente ad alimenti ad alto o basso IG.
Le fibre hanno un indice glicemico pari a zero perché non vengono per niente assimilate.
Gli alimenti contenenti carboidrati si possono classificare anche secondo la velocità di digestione e di assorbimento in alimenti ad alto indice glicemico e alimenti a basso indice glicemico.
Gli alimenti ad alto indice glicemico sono tutti gli zuccheri semplici (eccetto il fruttosio che viene assimilato come fruttosio e non aumenta i livelli di glucosio nel sangue) perché vengono assorbiti e metabolizzati velocemente, rilasciando glucosio nel sangue in tempi rapidi (tra i 10 e i 60 minuti), comportando una maggiore risposta insulinica.
Il carboidrato con più alto indice glicemico è il glucosio, perché non necessita alcuna trasformazione per entrare in circolo nel sangue. Il suo assorbimento è, dunque, immediato e inizia già dallo stomaco. Per questo quando ci sentiamo mancare prendiamo subito acqua e zucchero e non un panino.
Per tale motivo viene preso come metro di paragone per misurare il valore percentuale dell’indice glicemico degli alimenti.
Nonostante il fruttosio abbia un indice glicemico pari a 0 è ancora più dannoso del glucosio.
Perché è importante l’indice glicemico degli alimenti?
I carboidrati ad alto IG sono digeriti e assorbiti velocemente, fanno alzare velocemente il tasso del glucosio nel sangue (glicemia), di conseguenza viene secreta una quantità notevole d’insulina che causa una brusca diminuzione della glicemia, in quanto l’insulina è l’ormone che ha il compito di trasportare il glucosio nelle cellule e trasformarlo in energia utile. Una volta che l’insulina ha trasportato tutto il glucosio nelle cellule, parte un segnale al centro della fame dell’ipotalamo. Questo spiega come mai dopo aver mangiato un gelato o un piatto di riso in bianco avvertiamo un senso di fame crescente dopo poco tempo dall’ingestione.
L’aumento repentino della glicemia è, inoltre, tra i principali fattori imputati nello sviluppo di stress post prandiale, diabete, obesità e tumori.
L’energia immediata proveniente dagli zuccheri, se non utilizzata e “bruciata” nel momento in cui il glucosio entra in circolo nel sangue, crea depositi di riserva energetica, comportando lipogenesi e innalzamento dei trigliceridi, nonché infiammazione.
Gli alimenti a basso indice glicemico sono digeriti e assorbiti lentamente (da 1 a 5 ore dopo l’ingestione), fanno alzare lentamente il tasso del glucosio nel sangue, di conseguenza viene secreta una quantità normale d’insulina che riporta gradualmente la glicemia ai livelli precedenti l’assunzione di carboidrati. Consumare pasti a basso IG ci fa sentire sazi fino a 5 ore, ci aiutano a mantenere normale il peso corporeo, i livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue e non comportano uno stato infiammatorio post prandiale.
Come si misura l’indice glicemico?
L’indice glicemico di un alimento si misura facendo consumare 100 gr di carboidrati provenienti da un alimento a persone sane che sono state 8 ore a digiuno e si misurano i livelli di glicemia costantemente per 5 ore dopo l’assunzione dell’alimento. Infatti, l’abbinamento tra diversi alimenti modifica notevolmente la risposta glicemica.
Bisogna tenere presente che all’interno di una stessa categoria di alimenti, diversi cultivar possono avere diversi indici glicemici.
Dall’indice glicemico dell’alimento all’indice glicemico del pasto
È evidente che nessuno di noi consuma alimenti nella modalità appena descritta, tutto noi consumiamo pasti composti da più alimenti, cuciniamo i cibi, li consumiamo in diverse dose e quantità e tutti questi fattori modificano notevolmente la risposta glicemica post prandiale.
Per esempio, l’abbinamento di carboidrati ad altro IG con grassi, proteine e fibre, riduce la velocità di assorbimento degli alimenti contenenti carboidrati.
La medicina moderna non considera più importante l’indice glicemico dei singoli cibi, bensì insegna alle persone come comporre dei pasti che nel loro complesso siano equilibrati e a basso IG.
Facciamo alcuni esempi:
- Se cucino un risotto (il riso ha IG pari a 100) con una quantità di carciofi (IG=20 e ricchi di fibre) pari al doppio del peso del riso, l’IG del piatto sarà notevolmente basso.
- Il grado di maturazione della frutta determina un maggior contenuto di zuccheri semplici e quindi un più alto indice glicemico.
- Ci sono cotture che alzano l’IG, come quelle che danno luogo all’idrolisi degli amidi, e cotture che lo abbassano, ad esempio quelle che danno lungo alla retrogradazuone degli amidi. Per esempio quando cucino la pasta al dente idrolizzo meno gli amidi rispetto a cucinare una pasta scotta, mentre se raffreddo per almeno 12 ore una pasta ben cotta parte dell’amido retrograda in una forma resiste all’assorbimento intestinale. L’IG della pasta ben cotta sarà più altro rispetto a quello della pasta cotta al dente e a quello della pasta raffreddata.
- Addirittura il formato della pasta influisce su suo indice glicemico, più piccola è la dimensione del formato più alto sarà l’IG.
- Anche le condizioni fisiologiche di ogni soggetto influenzano la velocità di assorbimento di ogni alimento ad esempio il funzionamento dell’intestino dei neonati o delle persone molto anziane determina un assorbimento più lento dei nutrienti rispetto a quello di persone sane e adulte.
- Anche le condizioni patologiche possono influenzare la vel0cità di assorbimento dei carboidrati degli alimenti.
- Non solo la velocità di assorbimento del carboidrato, ma anche la sua quantità (carico glicemico) sono cofattori che determinano il corretto metabolismo post prandiale.
Come abbassare l’indice glicemico dei cibi
È possibile ridurre l’indice glicemico attraverso l’associazione con diversi nutrienti come:
- L’associazione a un grasso che è il nutriente più difficile da digerire perché ha bisogno di essere emulsionato prima di essere digerito dagli enzimi.
- Le proteine vengono spesso sostituite ai carboidrati per diminuire il carico glicemico della dieta. Un metodo squilibrato e poco consigliabile per la salute di reni e fegato.
- L’inserimento di fibra solubile nei pasti ricchi di carboidrati è il miglior modo per ridurre l’indice glicemico del pasto. Inoltre, gli alimenti ricchi in fibra hanno una bassa densità energetica ed occupano volume; pertanto, si ritiene che potrebbero promuovere sazietà e giocare un ruolo importante nel controllo del bilancio energetico e del peso corporeo.
È stato suggerito che alimenti con un basso indice glicemico sono più sazianti di alimenti con alto indice glicemico. Studi di intervento, indicano che lo svuotamento gastrico può essere ritardato dal consumo di fibre solubili. Più interessante sembrano essere gli effetti sull’intestino tenue dove, formando gel, questo tipo di fibre rallentano l’assorbimento dei carboidrati, li rendono meno accessibili alla digestione enzimatica e riducono il loro contatto con la mucosa intestinale. Tutto ciò contribuisce anche a ridurre l’assorbimento dei carboidrati fino a un 20%, facendo un vero e proprio “sconto sulle calorie”. I risultati variano a seconda del tipo di fibra e se aggiunta come integratore isolato o se presente in fonti alimentari.
Tra le più importanti fibre solubili ricordiamo l’inulina a catena lunga. Inoltre, EFSA approva il claim per la riduzione di IG con:
- Pectina (10 g nel pasto),
- Betaglucani di orzo e avena (4 g per ogni 30 g di carboidrati),
- Arabinoxilano, fibra solubile estratta dal frumento (per 8 gr ogni 100 g di carboidrati).
- Glucomannano fibra della radice di konjac (1 g 3 volte al dì)
- Amido resistente 12 g su 100 g di carboidrati
- Inulina usata per sostituire gli zuccheri
Fonti
EFSA